LA BIOPLASTICA NON È COMPOSTABILE LO DICONO I GESTORI DEGLI IMPIANTI CHE SONO STATI MINACCIATI DAGLI IMPRENDITORI DELLA BIOPLASTICA

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La bioplastica non è compostabile secondo i gestori degli impianti dei rifiuti. Infatti ci dicono tanto di comprare la bioplastica perché è compostabile e biodegradabile è meno inquinabile invece non è così è come l’altra plastica indefinitiva.

Lo confermano anonimamente gli stessi gestori degli impianti dei rifiuti perché sono stati pure minacciati dagli imprenditori della bioplastica che per I soldi non gliene frega assolutamente niente dell’inquinamento e tantomeno della salute degli italiani.

Ecco quello che hanno detto “Quando abbiamo detto che la plastica compostabile non era riciclabile, ci hanno minacciato dicendo che ci avrebbero fatto causa se continuavamo a raccontare questa verità”. “Abbiamo comunicato che il rifiuto stava peggiorando e che gli impianti non sono idonei” svelano alcuni imprenditori. Il risultato? “Pressioni dal mondo della plastica compostabile. Così ora stiamo zitti: togliamo la plastica compostabile appena arriva all’impianto e la inviamo all’incenerimento, un’operazione che fanno in diversi. Dispiace solo che i cittadini credano di fare una scelta green, quando non è così”. Lo conferma anche il docente del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano che dice: “I gestori degli impianti sono scontenti, non riescono a gestire questo flusso” Come si vede c’è tutto il malcontento dei gestori che si vedono imporre tutto questo materiale bioplastico e non sanno come trattarlo. Tutto questo si è venuto a sapere grazie all’inchiesta condotta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia e alla pubblicazione della campagna ‘Carrelli di plastica’.

La stessa unità investigativa Greenpeace Italia aggiunge che Alcuni imprenditori che sono stati sentiti anonimamente da settembre a dicembre 2021 che tutti gli impianti contattati, di compostaggio, di digestione anaerobica e quelli dove le due fasi sono integrate, hanno confermato le difficoltà nella gestione dei rifiuti usa e getta in plastica compostabile.

Il primo impianto a rivelarsi ribellarsi e stato quello di Montespertoli in provincia di Firenze che ha detto chiaro e tondo che è incapace di trattare la plastica compostabile conferita insieme ai rifiuti organici. Ad appoggiare l’impianto di Montespertoli e stata anche l’Alia Servizi Ambientali SpA, società di gestione dei servizi ambientali della Toscana Centrale, la quale ha diffuso una nota molto chiara “Nell’attesa di una filiera dedicata – ha chiarito – i manufatti in bioplastica rigida devono essere conferiti nel contenitore dell’indifferenziato. Gli attuali impianti di compostaggio sono nati esclusivamente per i residui organici e gli sfalci di verde provenienti dalla raccolta differenziata. A oggi – prosegue la società – gli shopper in Mater-Bi sono le uniche bioplastiche compatibili con le condizioni dei processi di compostaggio, mentre i manufatti in bioplastica rigida si biodegradano a condizioni e tempistiche di processo diverse e comprometterebbero l’intera produzione di compost”. Neppure all’industria di recupero e riciclo Montello di Bergamo, dove confluiscono 760mila tonnellate di frazione organica all’anno (il 16% dell’umido prodotto in Italia) e che rappresenta una eccellenza italiana, si può degradare completamente la plastica compostabile, semplicemente perché non si può fare alla velocità e con la stessa tecnologia utilizzata per l’umido. “Per poter garantire il riciclo totale dei manufatti biodegradabili e compostabili – spiega la Montello – questi andrebbero raccolti separatamente dal rifiuto organico per essere poi avviati a specifico trattamento e riciclo”.

A ingarbugliare la situazione come sempre ci si è messo pure il governo che su spinta e su guadagno dalla lobby della bioplastica compostabile a settembre 2020 aggiunge un nuovo articolo al Testo Unico Ambientale in cui si spiega che “la plastica compostabile deve essere obbligatoriamente messa nell’umido e, quindi, gestita dagli impianti che trattano l’organico”. L’ ingarbugliamento e nel resto dell’articolo in cui si dice “che gli impianti dovranno adeguarsi secondo le modalità indicate da un decreto ministeriale che deve ancora uscire”. Lo conferma Giulio Angelucci, responsabile dell’Ufficio gestione rifiuti della Provincia Autonoma di Bolzano. Dicendo: “Da un lato si impone di raccogliere la plastica compostabile nell’organico – precisa Angelucci – dall’altro sappiamo che gli impianti non sono idonei e non sono ancora uscite le normative tecniche a cui si dovranno adeguare”. In questo modo la provincia autonoma di Bolzano sceglie di fare la cosa giusta aspettando e non dando comunicazione al cittadino facendo che continua a gettare la plastica compostabile nel sacco dell’indifferenziato diventando in pratica l’unica realtà in Italia a mettersi contro la normativa. Questa situazione ha creato problemi alla filiera della plastica tradizionale perché come spiega la Fead, l’organo di rappresentanza dell’industria privata di gestione dei rifiuti e delle risorse nell’Unione Europea. “può influire negativamente su qualità e purezza del prodotto finale” la direttrice divisione del reparto riciclo della plastica di Montello SpA, azienda leader del nord Italia, che riceve 350mila tonnellate l’anno di imballaggi in plastica da riciclare. Francesca Sancinelli aggiunge all’Unità investigativa di Greenpeace Italia “Non eliminarla dal processo renderebbe difficile riciclare la plastica tradizionalelo conferma anche Diego Barsotti, responsabile della comunicazione di Revet Spa, azienda che gestisce più dell’80% degli imballaggi della differenziata in Toscana. “Le plastiche compostabili che arrivano negli impianti di selezione degli imballaggi in plastica creano un problema impiantistico notevole – spiega – perché possono essere scambiate per plastica tradizionale dai macchinari e, in questo modo, compromettere il successivo processo di riciclo della plastica”.

Tutte queste diatribe portano a una sola conclusione, che alla fine a rimetterci siamo sempre noi cittadini italiani, che oltre a pagare di più lo smaltimento dei rifiuti ne paghiamo anche in termini di salute e inquinamento.

 

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